“Conca di betulla, mungitura, / azzurro che ti prende.” la prima poesia di apertura di Gian Piero Stefanoni, inizia già con un dettaglio, come l’intera raccolta, fatta di dettagli minimi, piccoli disegni di cose, di eventi, che insieme raggrumano luoghi, spazi, un sentire forte per quello che circonda, che accade, dentro gli occhi, come dentro l’anima. Il dettaglio qui è frantumato tra passato e presente “Né più si ricorda / il luogo dov’era.”: l’intera raccolta nasce tra il passato bello ed il presente inverso, mancante. E’ come se vi fosse nella poesia di Stefanoni un doppio specchio che osserva le cose da due punti di vista: come tutto era e come ora si pongono le cose, come ora le cose sono. Il dettaglio quindi cambia la sua prospettiva. Le immagini molto crude “Ed i corpi si raccolgono / tra le zeppe della corrente.”, “paesi, bambini / a cui nemmeno odore / più giunge.” danno la percezione dell’evento che ha percosso i luoghi, la gente. L’occhio osserva tutto e si fa avvolgere dal sentire comune, seppur spaventato. Si noti come pare delicata la visione del verso, la percezione della parola, l’immagine limpidissima di questa poesia è cruda, ma sempre fragile, quasi come se si mettesse dentro la bocca di coloro che soffrono, che vivono l’evento che ha loro devastato le vite. Anche l’ordinare per nome “spazzato via a S.Giuliano, / l’ortografia della cenere / che piegò a sé Gibellina, Sarno, Onna” sembra voler dar una percezione vera dell’evento, perché rimanga nella mente, perché nessuno dimentichi, non solo le persone che vivono, ma tutti. “Ma non conosce ardimenti / la desolazione che patisce, / deforma, si fa massa nel ventre” ed ancora “la vera sciagura / è il sedimento di mondo di cui ognuno è l’untore, / disconoscere ancora che patire” sono dettagli di consapevolezza del male: il poeta rimane consapevole che quello che ora c’è, deve rimanere, fa sedimento non solo nella carta, ma nella gente, nelle case, nel mondo di cui ognuno è untore.